Si avvicinano le elezioni amministrative in tante città italiane, anche all’Aquila. Tra le comunità non italiane ricorre una domanda frequente: gli stranieri possono votare in Italia? Proviamo a dare una risposta: sì, ma non tutti e non sempre.
Occorre prima di tutto fare una distinzione tra cittadini comunitari e cittadini non comunitari, ossia tra persone il cui Paese di origine appartiene all’Unione europea e persone originarie di Paesi che, invece, non vi appartengono. I cittadini comunitari che vivono nel comune dell’Aquila – ad esempio Romeni, Spagnoli, Polacchi, Portoghesi, Bulgari e altri cittadini comunitari residenti – godono, infatti, del diritto di elettorato attivo e passivo in occasione delle elezioni comunali e circoscrizionali (tranne che per le cariche di sindaco e vicesindaco).
A dettare le regole è il decreto legislativo 12 aprile 1996, n. 197, che ha recepito la Direttiva 94/80/CE sulle “modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza”, il quale prevede che i cittadini comunitari possano votare e candidarsi alle elezioni locali solo se iscritti a una lista elettorale aggiunta nel Comune italiano di residenza.
La domanda d’iscrizione va presentata al Comune entro il 40° giorno antecedente la data delle elezioni, autocertificando cittadinanza e residenza. Nel caso delle elezioni nel Comune dell’Aquila, ultima data disponibile è martedì 3 maggio.
Va inoltre ricordato che i cittadini comunitari possono esercitare il diritto di voto in Italia anche per le elezioni europee presentando al sindaco del Comune italiano di residenza una domanda per l’iscrizione in apposita lista elettorale aggiunta, entro il 90° giorno antecedente la data fissata per le elezioni.
Vale lo stesso per i NON comunitari?
La risposta ci viene data il 5 febbraio 1992, quando il Consiglio d’Europa a Strasburgo ha adottato la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, la “Convenzione di Strasburgo 1992”. Ecco cosa sancisce:
- Capitolo A: ribadisce piena libertà di espressione, riunione e associazione ai residenti stranieri, indipendentemente dalla loro nazionalità;
- Capitolo B: affronta il tema della rappresentanza e della partecipazione degli stranieri, l’istituzione di organismi consultivi e l’adozione di dispositivi per consentire agli stranieri residenti di esprimere pareri sui temi della vita politica che li riguardano più da vicino;
- Capitolo C: riconosce il diritto di voto attivo e passivo a livello locale a tutti gli stranieri che risiedano legalmente in uno dei Paesi membri da almeno 5 anni.
Anche l’Italia nel 1994 con la legge n.203 dell’8 marzo ha ratificato questo importante documento a esclusione, però, proprio del capitolo C, perché ritenuto in conflitto con l’art.48 della Costituzione: in questo modo i cittadini non comunitari, ancorché facenti parte integrante della società civile, rimangono esclusi dal suffragio universale a livello locale, sancito più precisamente da una circolare del ministero dell’interno n.4/2004. In mancanza di questo riconoscimento, a livello statale, dei valori fondamentali riconosciuti da una cultura giuridica ed istituzionale europea, ecco che è maturata l’iniziativa autonoma di alcuni Comuni e di alcune Regioni, che hanno previsto nei propri statuti, senza attendere ulteriori interventi o autorizzazioni legislative, il diritto degli stranieri stabilmente residenti a esercitare i diritti elettorali in ambito locale.
Un caso è il Comune di Genova, il cui Consiglio comunale il 27 luglio 2004 ha deliberato a larga maggioranza una modifica dello statuto della città, che include nell’elettorato attivo e passivo anche gli stranieri non comunitari maggiorenni, legalmente residenti nel Comune da almeno due anni. Altri esempi sono i Comuni di Torino e di Ancona. Ci sono poi la Giunta regionale dell’Emilia Romagna, che ha presentato nel 2003 al proprio Consiglio una proposta di legge, e le Regioni Liguria e Toscana. A fronte di tanta attenzione dimostrata dagli enti locali sull’esigenza di allargare il suffragio elettorale anche ai cittadini non comunitari il Governo ha, però, presentato ricorso di legittimità alla Corte costituzionale, sostenendo la tesi secondo la quale “la norma appare in contrasto con il principio costituzionale enunciato nell’art. 48 Cost. – inerente ai rapporti politici – che riserva ai cittadini l’elettorato attivo e, finalisticamente, non rispettosa delle attribuzioni costituzionali dello Stato, essendo riservato al Parlamento nazionale il potere di revisione costituzionale”. Eppure, sono diversi gli esempi in Europa di Paesi che già da tempo hanno cercato di colmare tale carenza e discriminazione: Svizzera, Spagna, Irlanda, Svezia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Finlandia, Lussemburgo, Belgio. Dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea, 15 prevedono il diritto di voto per i cittadini extracomunitari residenti.
Dopo un così lungo periodo di disattenzione sul tema del diritto di voto ai cittadini stranieri non comunitari, vale la pena però riproporre la riflessione: uno Stato democratico che esclude una parte cospicua dei residenti e dei lavoratori (che sono una parte costituente della società) dalla vita politica e, a mio avviso dal “diritto” di voto, si trasforma in uno Stato non democratico. Un Paese generoso come l’Italia, che per anni ha seguito con grande sforzo le politiche multiculturali d’inclusione e non programmi di rimpatrio, non può lasciare che sia il tempo a decidere. Inoltre, chi rifiuta la rappresentanza degli immigrati rifiuta una visione liberale, rifiuta il principio democratico della rappresentanza per cui un uomo libero non può sottoporsi a leggi che non ha contribuito a formare.