Voci di dentro n. 40

Leggiamo l’editoriale del Direttore:

«Per la copertina di questo numero mi era venuto in mente di usare la famosa fotografia di Jim Marshall nella quale si vede Johnny Cash con il dito medio alzato. Lo scatto era stato fatto al concerto del 1969 nel carcere di San Quintino, in California, ed è una icona, di quelle entrate nella storia del Rock assieme a tanti altri scatti di Marshall come quello di Jimi Hendrix che dà fuoco alla sua chitarra, o quello di Janis Joplin accasciata in uno dei tanti backstage con una bottiglia in mano. Come titolo avevo anche pensato di usare le parole dello stesso fotografo: “John, facciamo uno scatto per il direttore del carcere”. Poi, per evitare di apparire volgari (non è nel nostro stile, non è nello stile di Voci di dentro) abbiamo messo uno scatto altrettanto famoso, sempre fatto all’interno del carcere, e le parole dello stesso Johnny Cash: “San Quentin odio ogni tuo centimetro”.
Ma la sostituzione dell’immagine non cambia il mio pensiero: quello che raccontano i detenuti, quello che vivono le migliaia di persone rinchiuse nei vari penitenziari d’Italia e del mondo, quello che testimoniano i loro racconti, sono la prova di quanto il carcere sia disumano e profondamente sbagliato. E quanto sia giusto dire basta a questa istituzione che più vergognosa di così non si può.
Vergognosa perché violenta come rivela Susanna Marietti, coordinatrice di Antigone, in un arti-colo precedentemente pubblicato da Il Fatto a seguito della sua visita nel carcere di Torino: “…vi era un ragazzo che stava in piedi con la faccia a pochi centimetri dal muro. Non si è girato al nostro passaggio. Teneva i palmi delle mani rivolti verso l’altro, all’altezza delle spalle. Parlava verso quella parete, ogni tanto si girava verso il letto, poi tornava a rivolgere la faccia al muro e parole a chissà che cosa. Barcollava e aveva gli occhi a mezz’asta. Nessuno ci faceva caso. Qualcuno si è avvicinato alle sbarre al nostro passaggio. Un uomo mi ha chiesto se potevo fare in modo che la turca della sua cella venisse aggiustata. Erano quattro giorni che non scaricava le sue feci, mi ha spiegato. L’ho detto al poliziotto del reparto. Un altro uomo era al buio. Si è sporto dalle sbarre e mi ha detto che avrebbe voluto un po’ di luce”.
Vergognosa perché ce lo dicono fior fiore di studi e lo sintetizza bene Elisa Mauri: “In psicologia si utilizza generalmente l’immagine dell’albero per rappresentare la personalità di una persona. L’albero ha le sue radici nel suo terreno, radici che si sradicano nel tempo, c’è un tronco, ci sono dei rami, ci sono le foglie e i frutti, ci sono degli scambi con l’ambiente e anche con altre figure. Dunque il carcere prende l’albero e lo sradica, interrompe i legami e lo mette in un contesto in cui quest’albero poi inizierà a soffrire perché non ha ciò che gli serve per stare bene e quindi, di conseguenza, inizierà ad indebolirsi, a perdere i frutti, le foglie, a volte i rami si spezzeranno, e quindi succede che l’albero comincerà ad ammalarsi, e in alcuni casi l’albero muore”.
Vergognosa perché, come potete leggere nell’inchiesta di Claudio Tucci, l’Amministrazione penitenziaria spende meno di tre euro al giorno per detenuto per colazione, pranzo e cena costringendo tutti a ricorrere al sopravvitto dove i prezzi sono spesso maggiorati. E perché chiede a ciascun detenuto di pagarsi la cella (100-120 euro al mese come quota di mantenimento). E ancora perché paga il lavoro dei detenuti (e usa ancora la parola mercede come nel medioevo) con un cedolino e con un costo orario al di fuori da ogni norma contrattuale.
In definitiva un’istituzione frutto dei nostri tempi, tempi nei quali non sappiamo più vedere il male, quello che compiamo quotidianamente o anche solo voltandoci dall’altra parte: leggete l’articolo di Sefora Spinzo dove racconta di Luis, migrante bloccato al confine tra Polonia e Bielorussia, picchiato e ferito e poi ricucito alla meno peggio con graffette metalliche al posto dei normali punti di sutura.
Come scrive il nostro Dozie Oluchukwudife, Johnny Cash ha davvero ragione a vestirsi di nero: “… per i poveri e gli sconfitti che vivono disperati nei quartieri degli indigenti, per il detenuto che già da tempo ha scontato il suo reato, ma sta lì perché è vittima di questi tempi”
Francesco Lo Piccolo

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